Bathroom Living
Condizione isolata, contemplativa, creativa, libera, protetta
2019-2020

“Bathroom”, ovvero, il cesso. Si può dire. Come ci ha spiegato Philippe Daverio, è etimologicamente corretto e non è affatto volgare: anticamente, era il luogo re-cessus rispetto all’edificio.
Capita che vi passi più tempo del dovuto, quasi sempre la mattina presto.
Sto parlando di tempo dedicato ad altro rispetto alle funzioni metaboliche ed alle pratiche igieniche. Penso, leggo, scrivo, guardo film. Raramente posto qualcosa o chatto.
Quanto segue è stato elaborato al cesso, per dire…

Tutto ha origine da un ricordo d’infanzia. Erano i primi anni ‘70, in un appartamento di cento metri quadrati dove si conviveva in sette distribuiti su quattro generazioni differenti. Un bagno con vasca e uno più piccolo, poco più di un lavatoio. Mordi e fuggi ché c’è sempre qualcuno fuori che ne ha bisogno. Porte in vetro martellato: poca privacy ma filtrava luce necessaria ad illuminare i corridoi. Oggi sarebbe green style, all’epoca radicata cultura del risparmio. Città di mare: in agosto passavamo a nove.
Due piani sopra, in un appartamento di pari dimensioni, vivevano soli marito e moglie. Sebbene avessero il salotto con divano e poltrona tenevano giornali e riviste in bagno.

Passano oltre quarant’anni. Siamo nel 2018 e al Salone del Mobile si parla di bathroom living. Il bagno proposto come luogo da vivere.
Che il bagno sarebbe diventato il salotto del futuro era già stato annunciato al Salone 2010 e la promessa sembrerebbe mantenuta. I designer rileggono il bagno e lo dotano di funzionalità ben oltre quelle igienico-fisiologiche; intercettano e codificano nella progettualità contemporanea un’esigenza che esisteva da tempo.
Lo sapeva Gabriele D’Annunzio, che al Vittoriale fece realizzare la Bibliothecula Stercoraria all’interno di uno dei bagni, per ospitare un’edizione di libri in miniatura.
E dovevano saperlo pure quelli del terzo piano che tenevano Epoca, il Monello e Tex Willer a portata di mano.

In questa visione, l’opera dei designer si distingue per aver esposto una funzione dell’ambiente che, proprio in quanto living, stacca completamente da fattori architettonici e soluzioni d’arredo, afferendo ad una sfera di interpretazione personale che fa leva su una caratteristica che nell’abitazione condivisa solo il cesso possiede: la vocazione di isolamento che sta dietro la porta chiusa. Il luogo dell’eremitismo domestico in cui spogliarsi ognuno dei suoi di che, dove muoversi liberamente e riaversi. Focalizzare sul sé distratto da tutto ciò che è fuori e rientrarne in possesso.

Una condizione contemplativa, di silenzio e concentrazione favoriti dal fluire silenzioso dell’acqua. Una condizione creativa, dove il pensiero fluisce senza interruzioni. Una condizione di libertà, dove si è nudi così come ci si spoglia di ogni censura, giudizio e pregiudizio. Una condizione protetta: un guscio fatto di forme a difendere le ritualità che favoriscono la produzione delle idee perché mettono in ordine i pensieri. Una condizione di solitudine. Picasso diceva: “senza solitudine, nessun lavoro serio è possibile”
Un tempio.

Stefan Zweig, evidenziando un processo di disindividualizzazione in progress nell’epoca della precarietà assoluta, della provvisorietà, dell’individualismo solitario, scriveva: “Una volta l’uomo aveva un’anima e un corpo, oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano”.
Questa disindividualizzazione mi rimanda alle relazioni paradossali tra gli individui ed i nonluoghi surmoderni di Augé per il quale il fruitore di quegli spazi si trova ad agganciarsi agli elementi più astratti e spersonalizzanti per un attributo noto, come la catena di franchising in una città sconosciuta.
Ho citato Zweig ed Augé con limiti che ho ben noti, semplificando eccessivamente e senza elaborare una sintesi esaustiva. Tuttavia quei concetti mi suggeriscono l’ipotesi che l’esigenza di “riapproprio” possa scaturire da una consapevolezza tutta contemporanea della condizione sociale.
